lunedì 27 novembre 2017

Equo compenso: più tutele per i professionisti

E’ stata di recente approvata in Commissione Bilancio del Senato la norma sull’equo compenso per le prestazioni dei professionisti iscritti ad Ordini e Collegi e riuniti in associazioni. Essa è valida sia per i privati che per la Pubblica Amministrazione.

Il provvedimento riguarda 4,4 milioni di lavoratori, dagli avvocati agli infermieri, che potranno finalmente vedersi riconosciuto l’equo compenso, senza più contratti capestro, prestazioni pagate il minimo possibile, clausole per attività aggiuntive gratuite.  

Il testo originario e i parametri utilizzati
Con il testo in origine si intendevano tutelare i soli avvocati nel contenzioso con parti considerate forti, quali banche, assicurazioni e grandi imprese.
Successivamente, il raggio d'azione è stato esteso a tutti gli autonomi.
Per fissare le soglie di remunerazione al di sotto delle quali non è possibile scendere, si utilizzeranno i parametri giudiziari (usati dai magistrati per dirimere le controversie) per i professionisti regolamenti. Tali parametri sono emessi dai ministeri vigilanti degli Ordini. Per le altre categorie di professionisti andranno invece individuate modalità ad hoc per determinare gli equi compensi.

Stop al caporalato intellettuale
In Italia le categorie non regolamentate di professionisti contano circa 3 milioni di lavoratori, ai quali si aggiungono i cosiddetti ordinistici, che sono appunto circa 1,4 milioni. Un provvedimento, dunque, che riguarda una importante fetta di professionisti italiani e consentirà di sradicare lo sfruttamento di tanti cervelli che hanno fatto sacrifici e meritano di essere pagati il giusto per il proprio lavoro. Non a caso, il Ministro della Giustizia Orlando ha definito il fenomeno come “caporalato intellettuale”.

Il ruolo della P.A. e le critiche
Il coinvolgimento nella norma sull’equo compenso della Pubblica Amministrazione renderà in un certo qual modo lo Stato garante del provvedimento, anche se non mancano le critiche di chi lo considera pasticciato e con possibili problemi di attuazione. Staremo a vedere.


lunedì 20 novembre 2017

Rottamazione cartelle, possibile fino a quelle di settembre 2017 e con termine prorogato

Buone notizie per i contribuenti che abbiano ricevuto una cartella esattoriale riferita agli anni dal 2000 al terzo trimestre 2017. Anch’esse infatti potranno essere oggetto di rottamazione, con istanza possibile entro il 15 maggio 2018. La precedente scadenza era fissata al 31 dicembre 2017.
Lo ha stabilito un emendamento al decreto fiscale approvato di recente in Commissione Bilancio.

La proroga dei termini per la richiesta di rottamazione

I termini per presentare la richiesta sono stati necessariamente prorogati considerata il nuovo lasso di tempo molto ampio, appunto dal 2000 al settembre 2017, e l’obbligo di prevedere nuovi adempimenti per chi volesse aderire.
L’Agenzia della Riscossione (ex Equitalia) verificherà le caratteristiche del carico fiscale per cui è stata fatta richiesta e prenderà contatti con il debitore, come da prassi.

Cosa succede se si ha già ha in rottamazione una cartella?

Il contribuente che voglia usufruire di questa nuova opportunità, avendo già una cartella in rateizzazione, con piani di dilazione in essere alla data del 24 ottobre 2016, dovrà innanzitutto sanare completamente tale posizione.
Riceverà quindi entro il 30 giugno 2018 la comunicazione con gli importi delle rate scadute nel 2016 e non ancora pagate. A quel punto, entro il 31 luglio dovrà versare il dovuto, dopodiché potrà iniziare il processo per la rottamazione della parte residua.
In questo caso, è evidente che i tempi si allunghino: entro il 30 settembre l’Agenzia della Riscossione comunicherà gli importi di tre rate relative alla nuova rottamazione, da saldare a ottobre 2018, novembre 2018 (pagando l’80% del debito) e infine a febbraio 2019, con applicati soltanto i normali interessi legali del 4,5%, senza ovviamente sanzioni o interessi di mora.

Cosa succede se non si ha già ha in rottamazione una cartella?
Se il contribuente debitore aderisce a questa nuova opportunità  per una cartella non interessata da rateizzazione, le scadenze cambiano.
L'Agenzia della riscossione comunicherà gli importi da pagare entro il 30 giugno 2018 e le rate saranno cinque: luglio, settembre, ottobre e novembre 2018 (tali da coprire complessivamente l'80% del debito) e febbraio 2019. In questo caso, sulla rata di luglio, che può essere anche rata unica a saldo, non si applicheranno gli interessi legali, mentre sulle successive quattro sì.

Ad essere compresi nell'operazione sono anche i contribuenti esclusi dalla prima edizione perché non in regola con le rate di piani precedenti.


lunedì 13 novembre 2017

Figli minorenni in foto sui social? Serve il consenso di entrambi i genitori

I social network hanno invaso la vita di molti di noi, a prescindere dall’età e dalla classe sociale. Una questione attuale è cosa sia lecito pubblicare, soprattutto quando si tratta di soggetti minorenni.

Foto online solo se i genitori sono d’accordo
Oggetto del contendere tra genitori separati, e non, è spesso la possibilità di pubblicare le foto dei figli minori. Una recente sentenza del Tribunale di Mantova ha sancito che in questo caso debba esserci il consenso di entrambi i genitori. In caso contrario, il genitore contrario può chiedere ed ottenere la rimozione delle foto già pubblicate e l’inibizione alla pubblicazione di nuove foto.

Le motivazioni della sentenza
Il giudice ha motivato la sentenza valutando la pubblicazione delle foto sui social network come comportamento potenzialmente pregiudizievole per i minori, in quanto ciò determina la diffusione delle immagini ad un pubblico indeterminato di persone, tra cui possono essere compresi  malintenzionati, i quali potrebbero avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte online.

Il caso di specie
Nel caso trattato una madre affidataria si era impegnata a non pubblicare le foto dei figli ed a rimuovere quelle già presenti su richiesta del padre dei piccoli. Non aveva però rispettato in toto gli accordi presi, rimuovendo quelle già presenti, ma pubblicandone di nuove, costringendo così l’ex coniuge a fare ricorso.  
La madre ha torto perché contravviene ad un accordo preso con l’altro genitore, violando il diritto all’immagine ed alla riservatezza dei bambini, esponendoli ai rischi suddetti.

Il rischio pedopornografia
Purtroppo sul web è alto il rischio che le foto dei minori siano utilizzate per finalità pedopornografiche, attraverso tag e fotomontaggi. La polizia postale sconsiglia di pubblicare tali foto e la giurisprudenza ha voluto sancire la necessità che entrambi i genitori siano consapevoli dei rischi che si corrono, dimostrandosi concordi nel pubblicare sui social le foto dei propri figli minorenni.