lunedì 22 ottobre 2018

Cittadinanza estera, quando può essere disconosciuta o revocata


All’interno dell’Unione Europea per risolvere le questioni aventi connessioni con diversi sistemi giuridici nazionali (è il caso ad esempio delle successioni aventi carattere di internazionalità) si utilizza tradizionalmente il criterio di collegamento basato sui legami personali della residenza abituale e della cittadinanza dell’interessato.
Il legislatore europeo tuttavia sta progressivamente preferendo il criterio della residenza abituale a quello della cittadinanza. Nel caso delle separazioni e divorzi, della responsabilità genitoriale, degli obblighi alimentari, delle obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali e, da ultimo, le successioni transnazionali viene fissato quale principio cardine per individuare la legge applicabile quello della residenza abituale.
In alcuni casi è fatta salva la possibilità di scegliere la legge dello Stato di cui si ha la cittadinanza aprendo le porte alla pianificazione, optando quindi per la legge più favorevole.
Ma cosa se una persona acquisisce la cittadinanza di un Paese soltanto al fine di poter essere assoggettato alle sue leggi?

venerdì 8 giugno 2018

Infedeltà sul web: basta l’intenzione


Si passa sempre più tempo sul web, senza pensare che ogni azione compiuta in rete potrebbe essere la causa, anche a distanza di tempo, di conseguenze imprevedibili.
Attenzione ai siti di incontri
Una recente sentenza della Cassazione ha sancito come la semplice navigazione su siti di incontri possa essere equiparata alla violazione dell’obbligo di fedeltà, se scoperta e non perdonata dall’altro coniuge.
Si tratta infatti di una "circostanza oggettivamente idonea a provocare l'insorgere della crisi matrimoniale all'origine della separazione". La donna o l’uomo che abbandoni il tetto coniugale dopo tale scoperta è dunque giustificata/o a farlo.
Il caso di specie
La sentenza della Suprema Corte ha riguardato il ricorso di un uomo che voleva addebitare la causa della separazione alla moglie per violazione dell'obbligo di coabitazione dopo che la donna aveva scoperto le sue ricerche sul web di incontri femminili. L'uomo chiedeva anche la revoca dell'obbligo di mantenimento, pari a 600 euro al mese.
Virtuale equivale a reale
Ricorso respinto: per i giudici della Cassazione, la mera ricerca di incontri online equivale all'infedeltà, a prescindere da che siano stati seguiti da incontri reali, specificando che si tratta di una "circostanza oggettivamente idonea a compromettere la fiducia tra i coniugi".

lunedì 21 maggio 2018

Pacca sul sedere in ufficio? E’ solo goliardia


In un periodo in cui il tema della violenza e delle molestie sessuali è di forte attualità, ecco verificarsi in Italia un caso destinato a far discutere.
Secondo il gip del Tribunale di Vicenza, infatti, dare una pacca sul sedere occasionale sul luogo di lavoro non sarebbe da ritenere una molestia sessuale né tantomeno una violenza.

Il caso di specie
Una impiegata aveva denunciato il dirigente dell’ufficio amministrativo di un ditta commerciale per averla sculacciata in tre occasioni, cosa che l’aveva fatta sentire molestata sia come donna che come lavoratrice. L’uomo, inoltre, era stato accusato anche di ingiurie per averla invitata in modo brusco a svolgere le proprie mansioni passando tra le scrivanie.

Le testimonianze dei colleghi
La Procura ha raccolto le testimonianze dei colleghi della donna, secondo cui il dirigente, che nel frattempo si è scusato, era solito distribuire pacche un po’ a tutti in maniera goliardica, senza morbosità né intento predatorio.

La richiesta di archiviazione
Sulla base delle testimonianze raccolte, il pm ha ritenuto di chiedere l’archiviazione, accolta dal gip, derubricando l’accaduto a gesto goliardico, seppur eccessivo ed in generale censurabile. In sostanza, la fattispecie non presentava i connotati dell’ipotesi di reato sostenibile in giudizio.
 Ciò non significa, però, che in assoluto tale comportamento non possa sfociare nella molestia sessuale in presenza di un contesto e di un atteggiamento che facciano supporre tale intento.
Per quanto riguarda l’accusa di ingiurie, anch’essa è caduta nel nulla a seguito della depenalizzazione del reato.

martedì 15 maggio 2018

Bullismo e violenza a scuola: l’istituto è responsabile anche all’esterno

Si susseguono sempre più spesso casi di bullismo scolastico nei confronti di studenti o professori.
Per la prima volta un tribunale ha ritenuto corresponsabile l’istituto scolastico, tecnicamente il Ministero dell’Istruzione, per un pestaggio compiuto al di fuori dell’edificio.
Il fatto di cronaca a Viterbo
Per mesi uno studente ha dovuto subito insulti, minacce ed angherie durante l’orario scolastico da parte di un compagno di classe, il quale è arrivato al punto di picchiarlo fino a costringerlo ad un ricovero ospedaliero.
La culpa in vigilando
Secondo il Tribunale, la situazione, protrattasi per lungo tempo, è stata sottovalutata dal personale scolastico, pienamente cosciente degli atti di bullismo, al punto da rilevarsi una “culpa in vigilando”, manifestatasi nel non aver fatto nulla per impedire la prosecuzione e l’escalation di vessazioni.
Il risarcimento danni
Il Ministero dell’Istruzione è stato così condannato in solido con i genitori del bullo ad un risarcimento danni di 12.000 euro, nonostante il pestaggio finale fosse avvenuto all’esterno della scuola. Toccherà al Ministero valutare se rivalersi su preside e professori davanti alla Corte dei Conti.

mercoledì 2 maggio 2018

Foto osé diffuse da minori: pagano i genitori


Sono sempre più frequenti i casi riguardanti azioni compiute sul web, in particolare sui social network, che arrivano in tribunale.
La pubblicazione non autorizzata di fotografie è spesso il motivo del contendere.

Il recente caso che ha fatto scalpore
Nel 2013 la foto nuda di una ragazzina di 14 anni finì su facebook (e sui telefonini di molti amici e conoscenti) ad opera di 11 minori che contribuirono alla sua diffusione.
La denuncia dei genitori della 14enne è arrivata di recente a sentenza e l’esito è stato sorprendente: i genitori sono stati ritenuti responsabili per le colpe dei loro figli.

La carenza educativa dei genitori
In sede civile, il Tribunale di Sulmona ha infatti condannato al risarcimento di un danno non patrimoniale, quantificato in 100 mila euro (ne erano stati richiesti 650 mila), che sarà a carico dei genitori degli 11 minori, colpevoli di carenza educativa.

Le motivazioni della sentenza
Secondo il giudice “è in capo al genitore l’onere di provare e di dimostrare il corretto assolvimento dei propri obblighi educativi e di controllo sul figlio, solo in tal modo potendosi esonerare dalla condanna risarcitoria” (cosa non verificatasi).
 Anzi, sempre secondo la sentenza “i fatti esprimono, di per sé, una carenza educativa degli allora minorenni, dimostratisi in tal modo privi del necessario senso critico e di una congrua capacità di discernimento e di orientamento consapevole delle proprie scelte nel rispetto e nella tutela altrui”.
Tal capacità avrebbe dovuto già essere presente in relazione all’età posseduta, dal momento che alcuni coetanei, pur ricevendo allo stesso modo la foto osè, non l’hanno divulgata.

Il giudice non ha risparmiato neanche i genitori della minorenne, ai quali non è stato riconosciuto alcun risarcimento, oltre a quello spettante alla figlia, perché all’epoca dei fatti “non avrebbero vigilato sulla condotta imprudente della propria figlia, da cui sarebbero partite le foto osé”.


martedì 17 aprile 2018

Social network: attenzione a bloccare l’accesso al profilo di terzi


I social network sono ormai dilaganti nella nostra quotidianità. Qualcosa che è nato per gioco sta diventando una faccenda molto seria, soprattutto quando se ne fa un uso illecito.
I casi in aumento e il caso di specie
Sono sempre più frequenti i casi, riguardanti l’utilizzo improprio dei social network, che finiscono davanti ad un giudice. Ad esempio, di recente a Pavia, una donna è stata condannata a due mesi di carcere con la sospensione condizionale della pena e 4mila euro di multa. Motivo?
 Aver impedito allʼex fidanzato promesso sposo, per vendetta, l’accesso al profilo di Facebook che lei gli aveva creato quando erano insieme.
Le motivazioni della sentenza
Il profilo personale su qualsiasi social network è, appunto, personale. Nessuno può accedervi, se non autorizzato, anche chi lo avesse creato su commissione del titolare.
In sostanza, la donna aveva modificato la password e ciò aveva reso impossibile l’accesso all’uomo, che, senza pensarci due volte, aveva sporto denuncia.
Il Tribunale di Pavia ha condannato la donna per “illecita interferenza nella vita privata” del suo ex fidanzato.