lunedì 18 dicembre 2017

Case occupate abusivamente, lo Stato deve risarcire se non provvede allo sgombero

Un malcostume purtroppo tipico del nostro Paese è rappresentato dalle case occupate abusivamente. Case abbandonate, spesso di proprietà statale, ma anche molte case private abitate, magari lasciate incustodite per pochi giorni o addirittura poche ore.

Una sentenza destinata a fare giurisprudenza
Il Tribunale Civile di Roma ha emesso una sentenza rivoluzionaria, per quanto di primo grado. Il Ministero dell’Interno è stato infatti condannato a risarcire con 7 milioni di euro i proprietari di un palazzo occupato a Roma. Motivo? Non aver provveduto a sgomberare lo stabile restituendone la disponibilità al legittimo proprietario.

Le motivazioni della sentenza
I giudici hanno ritenuto prevalente l’interesse del singolo, che le forze di polizia, dipendenti appunto dal Ministero dell’Interno, sono vincolate a far rispettare nell’ambito della loro attività di tutela dell'ordine pubblico, della pubblica sicurezza e del rispetto delle leggi, ed in particolare nella tutela della legalità.

Il caso di specie
Il Tribunale ha dato ragione ad una società proprietaria di un edificio occupato dal 2013 da 350 persone, mai sgomberato nonostante il decreto di sequestro preventivo risalente all’agosto del 2014.

La difesa del Ministero
Il Ministero dell’Interno ha annunciato che presenterà ricorso, sostenendo che gli sgomberi non sono stati eseguiti perché il Comune di Roma non era stato in grado trovare soluzioni abitative  temporanee per i casi più gravi.
Inoltre, il Ministero si appella a nuove disposizioni che delegano ai prefetti la pianificazione degli interventi e coinvolgono i sindaci nella mappatura delle situazioni a rischio e nella individuazione di soluzioni alternative per fare fronte all'emergenza abitativa.

Staremo a vedere cosa stabilirà la sentenza d’appello. 

martedì 12 dicembre 2017

Legge di stabilita' 2018: conferme e novità sulle detrazioni per l’efficienza energetica e altri bonus

La nuova Finanziaria, nota ormai come Legge di Stabilità, si appresta a confermare, con alcune novità, gli incentivi (Ecobonus) all’efficientamento energetico delle abitazioni (infissi, climatizzazione,pannelli solari, eccetera).

Scende l’Ecobonus

Lapercentuale di detrazione nel 2018 scenderà dal 65% al 50% per schermi solari, infissi e impianti di climatizzazione invernale. Sostituire una vecchia finestra con una più isolante sarà dunque meno conveniente, ma consentirà comunque un risparmio nel lungo periodo in termini di energia consumata e bollette.
La spesa massima detraibile è pari a 100 mila euro.

Non cambia nulla per gli interventi sull’intero edificio

Restano invariate le detrazioni per l’installazione di pannelli solari, cappotti termici e altri interventi sull’involucro edilizio. Il limite di spesa detraibile in questo caso sarà di 60 mila euro per i lavori riguardanti l’involucro e gli impianti fotovoltaici, mentre ammonterà a 30.000 euro per caldaie ed impianti di climatizzazione.

Il bonus mobili

L’efficienza energetica passa anche
dall’utilizzo di elettrodomestici ed arredi a risparmio energetico. In questo caso, è prevista una detrazione del 50% per una spesa massima di 10 mila euro. Questo bonus è valido soltanto se l’acquisto è contestuale alla ristrutturazione della casa.


Il bonus verde

Per la ristrutturazione edilizia, rimangono invariate le detrazioni del 50% valide
anche nel 2017, ma saranno affiancate da un bonus verde, valido per singole abitazioni o condomini.
Si tratta di una detrazione del 36% per tutti gli interventi di manutenzione e ristrutturazione dei giardini, con un massimo di spesa di 5 mila euro.

Il bonus sisma

Confermato infine il bonus sisma fino al 2021, con detrazioni fino all’85% delle spese per
lavori finalizzati al miglioramento strutturale della casa e altri interventi sismici.

lunedì 4 dicembre 2017

Telemarketing, salta il pugno duro contro le telefonate commerciali

Sembrava potesse essere la volta buona per fare tabula rasa e contrastare le telefonate commerciali assillanti, a volte ai limiti dello stalking telefonico.
Il testo di legge approvato in Senato prevedeva infatti l’adozione di un prefisso unico per tutti i call center commerciali e, soprattutto, l’azzeramento di tutti i consensi firmati nel tempo, in occasione dell’attivazione di contratti, da parte di coloro che avessero iscritto il proprio numero al registro pubblico delle opposizioni.

Il provvedimento annacquato alla Camera
Purtroppo, il nuovo testo approvato in Senato, decisamente garantista per gli utenti, è stato annacquato alla Camera, eliminando il prefisso unico e, soprattutto, lasciando intatta la possibilità di essere contattati dalle società ed aziende con le quali si ha in essere un contratto di fornitura di servizi, che siano bancari, televisivi, telefonici o elettrici.
Solo i consensi non connessi a rapporti contrattuali in essere potranno essere azzerati a seguito dell’iscrizione di un numero telefonico al registro pubblico delle opposizioni.

La questione del prefisso unico e i numeri identificabili
L’emendamento approvato alla Camera prevede due prefissi: uno per le chiamate commerciali e un altro per le analisi di mercato.
Inoltre, i call center potranno in alternativa utilizzare un numero identificabile e "richiamabile", così che il consumatore possa eventualmente richiamare e, consiglio personale,  bloccare il numero, cosa possibile con i moderni smartphone.
Un altro consiglio che posso dare è di cercare su google il numero dal quale si è ricevuta una chiamata sospetta, a cui, volutamente o meno, non si è risposto.
Esistono, infatti, siti affidabili che raccolgono segnalazioni di altri utenti che contrassegnano determinati numeri come portatori di pubblicità aggressiva.

Le chiamate dopo la cessazione del contratto
Un’altra concessione ai call center prevista dal testo emendato alla Camera è quella di poter chiamare l’ex cliente fino a 30 giorni dopo la cessazione del contratto, per cercare di fargli cambiare idea.
Se alla fine sarà il testo emendato ad essere definitivamente approvato, si tratterà dell’ennesima occasione persa da parte del Legislatore per dimostrare di stare davvero dalla parte dei cittadini che non vogliono essere assillati dalle telefonate commerciali.


lunedì 27 novembre 2017

Equo compenso: più tutele per i professionisti

E’ stata di recente approvata in Commissione Bilancio del Senato la norma sull’equo compenso per le prestazioni dei professionisti iscritti ad Ordini e Collegi e riuniti in associazioni. Essa è valida sia per i privati che per la Pubblica Amministrazione.

Il provvedimento riguarda 4,4 milioni di lavoratori, dagli avvocati agli infermieri, che potranno finalmente vedersi riconosciuto l’equo compenso, senza più contratti capestro, prestazioni pagate il minimo possibile, clausole per attività aggiuntive gratuite.  

Il testo originario e i parametri utilizzati
Con il testo in origine si intendevano tutelare i soli avvocati nel contenzioso con parti considerate forti, quali banche, assicurazioni e grandi imprese.
Successivamente, il raggio d'azione è stato esteso a tutti gli autonomi.
Per fissare le soglie di remunerazione al di sotto delle quali non è possibile scendere, si utilizzeranno i parametri giudiziari (usati dai magistrati per dirimere le controversie) per i professionisti regolamenti. Tali parametri sono emessi dai ministeri vigilanti degli Ordini. Per le altre categorie di professionisti andranno invece individuate modalità ad hoc per determinare gli equi compensi.

Stop al caporalato intellettuale
In Italia le categorie non regolamentate di professionisti contano circa 3 milioni di lavoratori, ai quali si aggiungono i cosiddetti ordinistici, che sono appunto circa 1,4 milioni. Un provvedimento, dunque, che riguarda una importante fetta di professionisti italiani e consentirà di sradicare lo sfruttamento di tanti cervelli che hanno fatto sacrifici e meritano di essere pagati il giusto per il proprio lavoro. Non a caso, il Ministro della Giustizia Orlando ha definito il fenomeno come “caporalato intellettuale”.

Il ruolo della P.A. e le critiche
Il coinvolgimento nella norma sull’equo compenso della Pubblica Amministrazione renderà in un certo qual modo lo Stato garante del provvedimento, anche se non mancano le critiche di chi lo considera pasticciato e con possibili problemi di attuazione. Staremo a vedere.


lunedì 20 novembre 2017

Rottamazione cartelle, possibile fino a quelle di settembre 2017 e con termine prorogato

Buone notizie per i contribuenti che abbiano ricevuto una cartella esattoriale riferita agli anni dal 2000 al terzo trimestre 2017. Anch’esse infatti potranno essere oggetto di rottamazione, con istanza possibile entro il 15 maggio 2018. La precedente scadenza era fissata al 31 dicembre 2017.
Lo ha stabilito un emendamento al decreto fiscale approvato di recente in Commissione Bilancio.

La proroga dei termini per la richiesta di rottamazione

I termini per presentare la richiesta sono stati necessariamente prorogati considerata il nuovo lasso di tempo molto ampio, appunto dal 2000 al settembre 2017, e l’obbligo di prevedere nuovi adempimenti per chi volesse aderire.
L’Agenzia della Riscossione (ex Equitalia) verificherà le caratteristiche del carico fiscale per cui è stata fatta richiesta e prenderà contatti con il debitore, come da prassi.

Cosa succede se si ha già ha in rottamazione una cartella?

Il contribuente che voglia usufruire di questa nuova opportunità, avendo già una cartella in rateizzazione, con piani di dilazione in essere alla data del 24 ottobre 2016, dovrà innanzitutto sanare completamente tale posizione.
Riceverà quindi entro il 30 giugno 2018 la comunicazione con gli importi delle rate scadute nel 2016 e non ancora pagate. A quel punto, entro il 31 luglio dovrà versare il dovuto, dopodiché potrà iniziare il processo per la rottamazione della parte residua.
In questo caso, è evidente che i tempi si allunghino: entro il 30 settembre l’Agenzia della Riscossione comunicherà gli importi di tre rate relative alla nuova rottamazione, da saldare a ottobre 2018, novembre 2018 (pagando l’80% del debito) e infine a febbraio 2019, con applicati soltanto i normali interessi legali del 4,5%, senza ovviamente sanzioni o interessi di mora.

Cosa succede se non si ha già ha in rottamazione una cartella?
Se il contribuente debitore aderisce a questa nuova opportunità  per una cartella non interessata da rateizzazione, le scadenze cambiano.
L'Agenzia della riscossione comunicherà gli importi da pagare entro il 30 giugno 2018 e le rate saranno cinque: luglio, settembre, ottobre e novembre 2018 (tali da coprire complessivamente l'80% del debito) e febbraio 2019. In questo caso, sulla rata di luglio, che può essere anche rata unica a saldo, non si applicheranno gli interessi legali, mentre sulle successive quattro sì.

Ad essere compresi nell'operazione sono anche i contribuenti esclusi dalla prima edizione perché non in regola con le rate di piani precedenti.


lunedì 13 novembre 2017

Figli minorenni in foto sui social? Serve il consenso di entrambi i genitori

I social network hanno invaso la vita di molti di noi, a prescindere dall’età e dalla classe sociale. Una questione attuale è cosa sia lecito pubblicare, soprattutto quando si tratta di soggetti minorenni.

Foto online solo se i genitori sono d’accordo
Oggetto del contendere tra genitori separati, e non, è spesso la possibilità di pubblicare le foto dei figli minori. Una recente sentenza del Tribunale di Mantova ha sancito che in questo caso debba esserci il consenso di entrambi i genitori. In caso contrario, il genitore contrario può chiedere ed ottenere la rimozione delle foto già pubblicate e l’inibizione alla pubblicazione di nuove foto.

Le motivazioni della sentenza
Il giudice ha motivato la sentenza valutando la pubblicazione delle foto sui social network come comportamento potenzialmente pregiudizievole per i minori, in quanto ciò determina la diffusione delle immagini ad un pubblico indeterminato di persone, tra cui possono essere compresi  malintenzionati, i quali potrebbero avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte online.

Il caso di specie
Nel caso trattato una madre affidataria si era impegnata a non pubblicare le foto dei figli ed a rimuovere quelle già presenti su richiesta del padre dei piccoli. Non aveva però rispettato in toto gli accordi presi, rimuovendo quelle già presenti, ma pubblicandone di nuove, costringendo così l’ex coniuge a fare ricorso.  
La madre ha torto perché contravviene ad un accordo preso con l’altro genitore, violando il diritto all’immagine ed alla riservatezza dei bambini, esponendoli ai rischi suddetti.

Il rischio pedopornografia
Purtroppo sul web è alto il rischio che le foto dei minori siano utilizzate per finalità pedopornografiche, attraverso tag e fotomontaggi. La polizia postale sconsiglia di pubblicare tali foto e la giurisprudenza ha voluto sancire la necessità che entrambi i genitori siano consapevoli dei rischi che si corrono, dimostrandosi concordi nel pubblicare sui social le foto dei propri figli minorenni.  


lunedì 30 ottobre 2017


Inquilino moroso, il ruolo dell’avvocato nel procedimento di sfratto
                           
Difficoltà economiche contingenti portano sempre più persone che vivono in una casa in affitto a non riuscire a far fronte con regolarità agli impegni contrattuali, cioè al pagamento del canone di locazione e delle spese condominiali a loro carico, diventando così inquilini morosi.
In questi casi, il proprietario della casa può far valere i propri diritti attivando il procedimento di sfratto, che ha regole e tempi ben precisi.

Quando è possibile l’azione di sfratto
Per procedere con un’azione di sfratto è necessario che l’inquilino abbia tardato nel pagamento, anche solo di una mensilità, oltre venti giorni rispetto alla scadenza concordata.
Se, al contrario, la morosità riguarda oneri accessori, cioè ad esempio le spese condominiali, l’azione di sfratto può essere avviata quando l’importo non pagato supera l’equivalente di due mensilità di affitto.

Il richiamo preliminare
Il proprietario, prima di procedere con l’azione di sfratto, può inviare un richiamo formale preliminare affinchè l’inquilino si metta in regola. I motivi del ritardo possono essere diversi, anche una semplice dimenticanza o situazione contingente, ragione per cui è nell’interesse di tutti chiarirsi prima di adire le vie legali.
Il conduttore, infatti, potrà comunque bloccare lo sfratto versando quanto dovuto prima dell’ordinanza di convalida dello sfratto stesso.

Il ruolo dell’avvocato
E’ evidente come, dal punto di vista del proprietario che vede leso il proprio diritto di incassare il canone di affitto, per intraprendere un procedimento di sfratto sia opportuno rivolgersi ad un consulente legale che sappia compiere i passi giusti nei tempi corretti.
Per quanto riguarda il conduttore intimato (inquilino), a livello consulenziale, egli può fare altrettanto, ma nella prima fase del giudizio, può stare in giudizio personalmente, senza l’assistenza di un avvocato, partecipare all’udienza, richiedere un termine per la sanatoria, opporsi alla convalida dello sfratto.
Ecco, l’assistenza di un difensore per le parti in causa sarà necessaria solo nell’eventuale fase che si apre a seguito della opposizione alla convalida dello sfratto.

Il giudizio diventa di merito
L’inquilino, infatti, potrà sostenere ragioni che giustifichino il proprio comportamento, come ad esempio lavori non compiuti dal proprietario per consentirgli di fruire pienamente della casa: le finestre non si chiudono bene facendo entrare acqua o rendendola insicura, le mura sono impregnate di umidità e l’ambiente non è salubre, eccetera.
In questo caso, il giudizio diventa di merito ed è necessario l’intervento di un avvocato che possa sostenere davanti al giudice la fondatezza delle ragioni del proprio cliente.


giovedì 29 giugno 2017

Reati tributari:  in alcuni casi l’omissione è ammissibile, ma va sanata per tempo 
Pagare le tasse è un dovere, lo sappiamo bene, come altrettanto bene sappiamo che molti non vi ottemperano o lo fanno in misura ridotta rispetto al dovuto (l’evasione fiscale stimata si aggira tra i 250 i 270 miliardi di euro, a fronte dei 172 miliardi incassati in base agli ultimi dati disponibili). Spesso si tratta di una condotta voluta, a volte ciò può avvenire per errore. Vediamo le fattispecie più frequenti e come si può rimediare quando l’errore è sanabile.

L’omessa o fraudolenta dichiarazione dei redditi
L’omissione più eclatante è senza dubbio relativa alla dichiarazione dei redditi, omissione totale o parziale. In quest’ultimo caso ci si rende autori di una dichiarazione infedele. Si potrà rimediare con il cosiddetto ravvedimento operoso provvedendo a mettersi in regola entro 90 giorni con una maggiorazione del 3%.
Se invece la dichiarazione viene gonfiata con fatture false e/o operazioni inesistenti, ecco che il reato si fa più grave perché si è di fronte a una frode fiscale, un reato penale che nei casi più gravi può comportare la reclusione fino a due anni.

 Ritenute e IVA
Quando si hanno dipendenti, collaboratori e/o fornitori vanno versate le relative ritenute e l’IVA. La  legge da la possibilità di porre rimedio alla eventuale omissione, ma se ciò non avviene nei tempi stabiliti, scatterà il procedimento penale per importi superiori ai 150.000 euro in caso di ritenute e ai 250.000 euro in caso di IVA. Anche in questo caso è possibile usufruire del ravvedimento operoso, con maggiorazioni o tempistiche che variano sulla base dell’importo evaso.

La sospensione condizionale della pena
L’istituto della sospensione condizionale della pena è possibile soltanto per condanne alla reclusione non superiori ai due anni, ecco perché anche i reati tributari aventi come oggetto somme ingenti possono condurre in carcere. In ogni caso, quando l’ammontare dell’imposta evasa è superiore al 30% del volume d’affari e ai 3 milioni di euro la sospensione non è mai ammissibile.

Chi paga?
Nel caso di aziende e società, saranno i rappresentanti legali a pagare, cioè a essere nel caso reclusi, quindi amministratore delegato, presidente del CdA, tutti coloro che abbiano il potere di rappresentanza legale appunto. Se si tratta di una persona fisica, pagherà il contribuente che ha commesso l’illecito, senza che possa addossare responsabilità all’eventuale commercialista, nei confronti del quale potrà soltanto rivalersi successivamente.

Conclusioni
Qualora si incappi in un reato tributario è bene rivolgersi a un legale esperto in materia, così da poter valutare con competenza tutte le possibilità di ridurre al minimo i danni. 

martedì 30 maggio 2017

PROTEZIONE DEL PATRIMONIO: COSA FARE

La crisi economica e impreviste situazioni familiari rendono sempre più frequente la necessità di adottare strumenti di protezione del proprio patrimonio immobiliare (case e terreni) e mobiliare (automobili, gioielli, conti correnti, titoli, ecc) da eventuali creditori (Fisco compreso) e da altri rischi che possano comprometterne il valore.

I soggetti interessati
A proteggere un patrimonio possono essere interessati sia privati cittadini, in ambio familiare o professionale, che imprese. Nel primo caso la necessità può derivare dalle richieste di risarcimento danni da parte dei clienti (o pazienti), cosa possibile in particolare quando si svolgono professioni quali avvocato, medico, consulente finanziario, eccetera. Inoltre, le crisi matrimoniali comportano in genere problematiche legate a obblighi di mantenimento, liquidazione, pensione di reversibilità, diritti successori, tutte situazioni che mettono a rischio l’integrità del patrimonio. Oggi poi sono in aumento le coppie di fatto e anche in questo caso proteggere il patrimonio può essere una scelta previdente.
Per quanto riguarda le imprese, è importate tutelarsi per proteggere il lavoro di una vita, che magari ha coinvolto più generazioni, da un lato e i propri beni personali dall’altro, prima di fornire qualsiasi tipo di garanzia personale a favore dell’attività imprenditoriale.

I principali strumenti di protezione patrimoni
Gli strumenti di protezione sono molteplici e senza le adeguate competenze è impossibile orientarsi nel compiere la scelta più adatta al proprio caso, ecco perché è fondamentale l’assistenza da parte di un consulente legale esperto della materia.
Con il fondo patrimoniale, ad esempio, si tutelano i beni più significativi destinandoli a soddisfare i bisogni familiari. Esso può essere costituito dai coniugi, anche in costanza di matrimonio, oppure da un terzo soggetto. I beni oggetti del fondo patrimoniale possono essere immobili e/o mobili, registrati e/o titoli di credito. La proprietà dei beni conferiti al fondo spetta a entrambi i coniugi.
Al di fuori dell’ambito familiare, è possibile adottare un atto (o vincolo) di destinazione, strumento con cui si vincola un bene a uno specifico scopo, cosa che lo rende inattaccabile dai creditori.
Inoltre, è possibile ricorrere all'amministrazione fiduciaria dei beni oppure a una società o fondazione, con lo scopo di proteggere il patrimonio di famiglia a fronte di eventuali pretese di terzi.
Infine, merita una citazione il trust, lo strumento più utilizzato a livello mondiale per gestire e conservare un patrimonio, attraverso un atto tra due parti con il quale l’una pone nelle disponibilità dell'altra il controllo dei propri beni affinché questi li gestisca, custodendoli o impegnandoli a favore di uno o più soggetti beneficiari.



lunedì 29 maggio 2017

CRISI D'IMPRESA: IL RUOLO DEL LEGALE SPECIALIZZATO


L'avvocato è chiamato a svolgere sempre più spesso anche il ruolo di consulente e una specializzazione oggi molto richiesta è quella in diritto dell'impresa e fallimentare, soprattutto a seguito di situazioni di crisi aziendale, che, se non prevenute, vanno gestite, con tutte le cautele possibili, secondo la legge.

Cosa può fare un legale?

Un legale esperto in diritto dell'impresa è in grado di consigliare una ottimizzazione delle liquidità, per prevenire o fare fronte a carenze improvvise, tagliando costi e utilizzando linee di credito a loro volta meno costose. Raramente, infatti, un piccolo imprenditore, in particolare alle prime armi, è in grado di fare le scelte economicamente e giuridicamente più valide, tanto più se si trova a dover gestire situazioni di crisi.
L'avvocato specializzato in diritto d'impresa ha un ruolo importante nella ristrutturazione del debito, che consenta, ove possibile, di mantenere la continuità di esercizio.
Ad esempio, egli valuta oggettivamente la possibilità di una ristrutturazione del debito stragiudiziale o se l'unica alternativa consista nel ricorrere ad un istituto concorsuale previsto dalla Legge Fallimentare al fine di preservare la continuità aziendale.
Affianca dunque l'impresa in crisi per trovare le soluzioni più idonee allo specifico caso:  stragiudiziali - finalizzate al risanamento o alla liquidazione, attraverso l'elaborazione di appositi piani -  o giudiziali (concordati preventivi, fallimentari, accordi formali di ristrutturazione del debito).
L'obiettivo è quello di fornire all'impresa lo strumento giuridico più idoneo a gestire la crisi e rinegoziare il debito accumulato, occupandosi di tutti gli aspetti relativi ai rapporti con gli istituti di credito, organi fallimentari/pre-fallimentari, nonché alle trattative con creditori, eventuali affittuari e cessionari d’azienda e/o loro rami.

Il ruolo strategico

L'avvocato coinvolto in situazioni di crisi d'impresa conosce la materia fallimentare così come i giudici del tribunale chiamato a pronunciarsi e ha quindi un ruolo essenziale nella strategia d'azione. 

Ad esempio, in presenza di un concordato le insidie possono essere molteplici e pericolose, al punto che solo un buon legale è capace di districarsi, prefigurando gli scenari e preparando le contromisure migliori. Inoltre, l'avvocato esperto di crisi garantisce maggiore armonia e fiducia nei rapporti  con tutti gli interlocutori.  

giovedì 9 marzo 2017


La caccia a chi non ha aderito alla Voluntary Disclosure

Per l’Agenzia delle Entrate “chi non ha aderito alla VD conoscerà il lato oscuro dell’accertamento”

La fase 2 dell’operazione di emersione dei capitali esteri sta per partire. Ma questa volta non sarà assolutamente volontaria, dal momento che, chiusa la finestra per il rimpatrio protetto dei capitali, il Fisco è pronto a mettere in campo tutti i suoi nuovi strumenti, a cominciare dallo scambio di informazioni diretto con gli altri Paesi, per trovare i capitali esteri non dichiarati in Italia.
Nel recente passato operazioni simili erano già state effettuate dalla Guardia di Finanza – nel caso della Lista Falciani o di Credit Suisse Life Bermuda – ma in questo caso sarà l’approccio sarà massivo e globale, grazie agli accordi internazionali stipulati nel 2015.
Secondo il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi: “Chi non ha risposto ad un approccio collaborativo, conoscerà il lato oscuro dell’accertamento”.