lunedì 22 ottobre 2018

Cittadinanza estera, quando può essere disconosciuta o revocata


All’interno dell’Unione Europea per risolvere le questioni aventi connessioni con diversi sistemi giuridici nazionali (è il caso ad esempio delle successioni aventi carattere di internazionalità) si utilizza tradizionalmente il criterio di collegamento basato sui legami personali della residenza abituale e della cittadinanza dell’interessato.
Il legislatore europeo tuttavia sta progressivamente preferendo il criterio della residenza abituale a quello della cittadinanza. Nel caso delle separazioni e divorzi, della responsabilità genitoriale, degli obblighi alimentari, delle obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali e, da ultimo, le successioni transnazionali viene fissato quale principio cardine per individuare la legge applicabile quello della residenza abituale.
In alcuni casi è fatta salva la possibilità di scegliere la legge dello Stato di cui si ha la cittadinanza aprendo le porte alla pianificazione, optando quindi per la legge più favorevole.
Ma cosa se una persona acquisisce la cittadinanza di un Paese soltanto al fine di poter essere assoggettato alle sue leggi?

venerdì 8 giugno 2018

Infedeltà sul web: basta l’intenzione


Si passa sempre più tempo sul web, senza pensare che ogni azione compiuta in rete potrebbe essere la causa, anche a distanza di tempo, di conseguenze imprevedibili.
Attenzione ai siti di incontri
Una recente sentenza della Cassazione ha sancito come la semplice navigazione su siti di incontri possa essere equiparata alla violazione dell’obbligo di fedeltà, se scoperta e non perdonata dall’altro coniuge.
Si tratta infatti di una "circostanza oggettivamente idonea a provocare l'insorgere della crisi matrimoniale all'origine della separazione". La donna o l’uomo che abbandoni il tetto coniugale dopo tale scoperta è dunque giustificata/o a farlo.
Il caso di specie
La sentenza della Suprema Corte ha riguardato il ricorso di un uomo che voleva addebitare la causa della separazione alla moglie per violazione dell'obbligo di coabitazione dopo che la donna aveva scoperto le sue ricerche sul web di incontri femminili. L'uomo chiedeva anche la revoca dell'obbligo di mantenimento, pari a 600 euro al mese.
Virtuale equivale a reale
Ricorso respinto: per i giudici della Cassazione, la mera ricerca di incontri online equivale all'infedeltà, a prescindere da che siano stati seguiti da incontri reali, specificando che si tratta di una "circostanza oggettivamente idonea a compromettere la fiducia tra i coniugi".

lunedì 21 maggio 2018

Pacca sul sedere in ufficio? E’ solo goliardia


In un periodo in cui il tema della violenza e delle molestie sessuali è di forte attualità, ecco verificarsi in Italia un caso destinato a far discutere.
Secondo il gip del Tribunale di Vicenza, infatti, dare una pacca sul sedere occasionale sul luogo di lavoro non sarebbe da ritenere una molestia sessuale né tantomeno una violenza.

Il caso di specie
Una impiegata aveva denunciato il dirigente dell’ufficio amministrativo di un ditta commerciale per averla sculacciata in tre occasioni, cosa che l’aveva fatta sentire molestata sia come donna che come lavoratrice. L’uomo, inoltre, era stato accusato anche di ingiurie per averla invitata in modo brusco a svolgere le proprie mansioni passando tra le scrivanie.

Le testimonianze dei colleghi
La Procura ha raccolto le testimonianze dei colleghi della donna, secondo cui il dirigente, che nel frattempo si è scusato, era solito distribuire pacche un po’ a tutti in maniera goliardica, senza morbosità né intento predatorio.

La richiesta di archiviazione
Sulla base delle testimonianze raccolte, il pm ha ritenuto di chiedere l’archiviazione, accolta dal gip, derubricando l’accaduto a gesto goliardico, seppur eccessivo ed in generale censurabile. In sostanza, la fattispecie non presentava i connotati dell’ipotesi di reato sostenibile in giudizio.
 Ciò non significa, però, che in assoluto tale comportamento non possa sfociare nella molestia sessuale in presenza di un contesto e di un atteggiamento che facciano supporre tale intento.
Per quanto riguarda l’accusa di ingiurie, anch’essa è caduta nel nulla a seguito della depenalizzazione del reato.

martedì 15 maggio 2018

Bullismo e violenza a scuola: l’istituto è responsabile anche all’esterno

Si susseguono sempre più spesso casi di bullismo scolastico nei confronti di studenti o professori.
Per la prima volta un tribunale ha ritenuto corresponsabile l’istituto scolastico, tecnicamente il Ministero dell’Istruzione, per un pestaggio compiuto al di fuori dell’edificio.
Il fatto di cronaca a Viterbo
Per mesi uno studente ha dovuto subito insulti, minacce ed angherie durante l’orario scolastico da parte di un compagno di classe, il quale è arrivato al punto di picchiarlo fino a costringerlo ad un ricovero ospedaliero.
La culpa in vigilando
Secondo il Tribunale, la situazione, protrattasi per lungo tempo, è stata sottovalutata dal personale scolastico, pienamente cosciente degli atti di bullismo, al punto da rilevarsi una “culpa in vigilando”, manifestatasi nel non aver fatto nulla per impedire la prosecuzione e l’escalation di vessazioni.
Il risarcimento danni
Il Ministero dell’Istruzione è stato così condannato in solido con i genitori del bullo ad un risarcimento danni di 12.000 euro, nonostante il pestaggio finale fosse avvenuto all’esterno della scuola. Toccherà al Ministero valutare se rivalersi su preside e professori davanti alla Corte dei Conti.

mercoledì 2 maggio 2018

Foto osé diffuse da minori: pagano i genitori


Sono sempre più frequenti i casi riguardanti azioni compiute sul web, in particolare sui social network, che arrivano in tribunale.
La pubblicazione non autorizzata di fotografie è spesso il motivo del contendere.

Il recente caso che ha fatto scalpore
Nel 2013 la foto nuda di una ragazzina di 14 anni finì su facebook (e sui telefonini di molti amici e conoscenti) ad opera di 11 minori che contribuirono alla sua diffusione.
La denuncia dei genitori della 14enne è arrivata di recente a sentenza e l’esito è stato sorprendente: i genitori sono stati ritenuti responsabili per le colpe dei loro figli.

La carenza educativa dei genitori
In sede civile, il Tribunale di Sulmona ha infatti condannato al risarcimento di un danno non patrimoniale, quantificato in 100 mila euro (ne erano stati richiesti 650 mila), che sarà a carico dei genitori degli 11 minori, colpevoli di carenza educativa.

Le motivazioni della sentenza
Secondo il giudice “è in capo al genitore l’onere di provare e di dimostrare il corretto assolvimento dei propri obblighi educativi e di controllo sul figlio, solo in tal modo potendosi esonerare dalla condanna risarcitoria” (cosa non verificatasi).
 Anzi, sempre secondo la sentenza “i fatti esprimono, di per sé, una carenza educativa degli allora minorenni, dimostratisi in tal modo privi del necessario senso critico e di una congrua capacità di discernimento e di orientamento consapevole delle proprie scelte nel rispetto e nella tutela altrui”.
Tal capacità avrebbe dovuto già essere presente in relazione all’età posseduta, dal momento che alcuni coetanei, pur ricevendo allo stesso modo la foto osè, non l’hanno divulgata.

Il giudice non ha risparmiato neanche i genitori della minorenne, ai quali non è stato riconosciuto alcun risarcimento, oltre a quello spettante alla figlia, perché all’epoca dei fatti “non avrebbero vigilato sulla condotta imprudente della propria figlia, da cui sarebbero partite le foto osé”.


martedì 17 aprile 2018

Social network: attenzione a bloccare l’accesso al profilo di terzi


I social network sono ormai dilaganti nella nostra quotidianità. Qualcosa che è nato per gioco sta diventando una faccenda molto seria, soprattutto quando se ne fa un uso illecito.
I casi in aumento e il caso di specie
Sono sempre più frequenti i casi, riguardanti l’utilizzo improprio dei social network, che finiscono davanti ad un giudice. Ad esempio, di recente a Pavia, una donna è stata condannata a due mesi di carcere con la sospensione condizionale della pena e 4mila euro di multa. Motivo?
 Aver impedito allʼex fidanzato promesso sposo, per vendetta, l’accesso al profilo di Facebook che lei gli aveva creato quando erano insieme.
Le motivazioni della sentenza
Il profilo personale su qualsiasi social network è, appunto, personale. Nessuno può accedervi, se non autorizzato, anche chi lo avesse creato su commissione del titolare.
In sostanza, la donna aveva modificato la password e ciò aveva reso impossibile l’accesso all’uomo, che, senza pensarci due volte, aveva sporto denuncia.
Il Tribunale di Pavia ha condannato la donna per “illecita interferenza nella vita privata” del suo ex fidanzato.

martedì 3 aprile 2018

Registro delle Opposizioni, sarà la volta buona?


Il Consiglio dei Ministri ha di recente approvato un regolamento che consente al cittadino di negare agli operatori dei call center (e non solo) l’utilizzo dei propri dati personali presenti negli elenchi telefonici.
Attraverso il Registro Pubblico delle Opposizioni, sarà possibile vietare le telefonate a casa, ma anche l’invio di posta cartacea e fax.

Manca ancora qualcosa…
L’Unione Nazionale Consumatori si è detta soddisfatta della novità, auspicando però che entri presto in vigore un’altra novità considerata fondamentale per bloccare quelle in alcuni casi sono delle vere e proprie molestie telefoniche.
Si tratta dell’obbligo dei prefissi unici per identificare e distinguere le chiamate telefoniche per finalità statistiche o per pubblicità vendita e comunicazione commerciale.

Nel dubbio, consultare un legale
Se si hanno dubbi su come e cosa si possa fare per tutelarsi da queste invasioni improvvise ed indesiderate della propria privacy, il consiglio è di consultare un legale che saprà indirizzarvi senza perdere tempo in ricerche o tentativi vani.

lunedì 19 marzo 2018

Svelare il tradimento di una donna sposata equivale a diffamazione


Attenzione a raccontare i dettagli di una relazione extraconiugale. Anche se tutto corrisponde al vero, la persona coinvolta potrebbe denunciarvi e avere ragione.
Una recente sentenza della Cassazione (7856/2018) in materia ha fatto molto discutere: secondo i giudici, svelare il tradimento di una donna sposata costituisce implicitamente reato di diffamazione.
Il caso di specie
Una donna, venuta a conoscenza del pettegolezzo diffusosi nella sua comunità, a seguito dei racconti dell’ex amante, ha denunciato l’uomo, chiedendo un risarcimento danni per aver leso la sua immagine come donna e madre.
Nonostante l’uomo avesse le prove video della realtà dei fatti divulgata a terzi, la Cassazione ha ritenuto vi fossero gli estremi per configurare il reato di diffamazione, dando così ragione alla donna.
Le motivazioni della sentenza
Si tratta di una sentenza storica, destinata a fare giurisprudenza, in quanto il racconto di una realtà comprovata diventa la causa di una condanna, già espressa in primo e secondo grado.
Aver reso pubblica la relazione è stato valutato come atto “intrinsecamente offensivo” della reputazione, in quanto contrario ai “canoni etici condivisi dalla generalità e al dovere di fedeltà derivante dal matrimonio”.
Se il tradimento è qualcosa di deplorevole e contrario ai valori collettivi, raccontarlo equivale a diffamazione.

lunedì 12 marzo 2018

Cacciatori di eredità, fondamentale farsi assistere da un professionista


In Italia è scoppiato il boom delle società specializzate nel ricercare gli eredi di ricchi defunti ignari della fortuna cui hanno diritto.
Gli ultimi dati parlano di circa 100 casi nel 2017, in cui complessivamente sono stati ereditati 13 milioni di euro!  
Come funziona la procedura
Quando una società operante in questo settore viene a conoscenza di un’eredità senza eredi conosciuti, avvia le ricerche per contattare i familiari e, una volta individuati, chiede loro una percentuale.
A quel punto, solo se gli eredi accettano, viene rivelato il nome del parente defunto e può partire la pratica di successione.  
Difficoltà e ruolo del professionista
A molti sarà capitato di ricevere messaggi di posta elettronica in cui si rappresenta la possibilità di ereditare una fortuna lasciata da un lontano parente. Nella totalità dei casi si tratta di tentativi di truffa poiché non è certo il modo con cui le società oneste contattano i potenziali eredi.
In ogni caso, chi ricevesse una proposta del genere, in qualunque forma, è bene che si rivolga ad un avvocato, notaio, commercialista di fiducia per verificare insieme la serietà della controparte e l’effettivo diritto ad ereditare.
In Italia, se dopo 10 anni non si trovano gli eredi, il patrimonio passa allo Stato.

lunedì 5 marzo 2018

Pensioni, ecco il cumulo gratuito tra Inps e casse professionali


In un’epoca in cui il posto fisso è una chimera e la libera professione non sempre è la soluzione ideale a lungo termine, sono molti i lavoratori che si trovano ad avere contributi versati all’INPS e a casse private professionali.
Il cumulo diventa gratuito
E’ possibile cumulare i contributi versati, ma il cosiddetto ricongiungimento finora aveva costi significativi. A quanto pare, finalmente, dopo oltre un anno da quando era stata fatta questa previsione, il cumulo diventerà gratuito tra qualche settimana.
I numeri
Un’opportunità per circa 700mila lavoratori in attività, resa possibile dall'accordo tra INPS e ADEPP (Associazione degli Enti Previdenziali Privati).
La domanda
La domanda dovrà essere presentata all'ultimo ente presso cui il soggetto interessato è stato iscritto. In questo modo, al momento della pensione, si riceverà un unico versamento mensile che terrà conto di tutti i contributi versati ai diversi enti previdenziali.
Le circa cinquemila persone con domande già presentate in attesa di risposta non dovranno ripresentarla, ma varrà il principio di retroattività; anche il loro ricongiungimento sarà dunque gratuito.

giovedì 22 febbraio 2018

Provochi un incidente? Può esserti controllato il cellulare

Più della metà degli incidenti stradali (51%) è causata dalla distrazione, oggi sempre più frequentemente dovuta all’uso del telefono cellulare (27%). Nonostante sia un comportamento vietato, sono ancora una minoranza i guidatori che utilizzano auricolare o vivavoce.
Attenzione all’ultima telefonata
In caso di incidente, la polizia locale può chiedere di controllare quando sia stata effettuata l’ultima chiamata o inviato l’ultimo messaggio. In questo modo, sarà possibile accertare se il guidatore stesse usando il telefonino al momento del sinistro.
Cosa dice la Cassazione
Ma è obbligatorio consegnare il proprio cellulare per consentire tale verifica? In realtà lo è soltanto in caso di feriti gravi, ma una sentenza della Cassazione autorizza le forze dell’ordine a chiedere in ogni caso all’automobilista di acconsentire al controllo.
In caso di rifiuto?
In assenza di feriti gravi, se il guidatore si rifiuta di consegnare il telefonino, i vigili non potranno fare altro che metterlo a verbale.


giovedì 15 febbraio 2018

Vivere in strada non è reato


Una piaga sempre più diffusa nella nostra società è rappresentata dai senza fissa dimora, i cosiddetti clochard, che in molti chiamano ancora barboni.
I numeri sono impressionanti. Secondo dati aggiornati a fine 2014, i senza fissa dimora in Italia sono oltre 50.000, di cui l’85% uomini, il 75% ha meno di 54 anni e quasi il 60% è straniero.
Nonostante si tratti di un fenomeno largamente diffuso, vivere in strada non è di per sé un reato, come ha stabilito la Cassazione.

Il caso di specie
Un quarantenne a Palermo era stato condannato dal locale Tribunale al pagamento di 1.000 euro per non aver rispettato un’ordinanza del Sindaco che vietava di bivaccare ed allestire ripari di fortuna in città.
L'obiettivo era quello di non alterare il decoro urbano e allo stesso tempo non intralciare la pubblica viabilità pedonale. 

La sentenza della Cassazione
Giunta dinanzi ai giudici chiamati ad esprimersi sulla legittimità, la sentenza di condanna è stata annullata perché “il fatto non sussiste”.
Secondo i giudici, infatti, l’uomo "versava in stato di necessità e con l’esigenza di un alloggio", situazione che giustifica il vivere per strada arrangiandosi come possibile, nonostante l’ordinanza comunale vigente.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto l’ordinanza del sindaco "una disposizione di tenore regolamentare data in via preventiva ad una generalità di soggetti, in assenza di riferimento a situazioni imprevedibili o impreviste". Un senza fissa dimora può quindi non rispettarla, in quanto prevale lo stato di necessità sulle “mere finalità di pubblico interesse”.

martedì 6 febbraio 2018

Caso Amazon, fino a che punto è possibile controllare un lavoratore?

La notizia secondo cui il colosso dell’e-commerce Amazon starebbe pensando ad un braccialetto per guidare i lavoratori nella ricerca dei prodotti da impacchettare e spedire ha destato parecchio scalpore.
In molti hanno infatti pensato che si tratti di un sistema escogitato per controllare i lavoratori, in particolare il tempo impiegato nello svolgere le proprie mansioni.
Amazon = velocità
Uno dei punti di forza di Amazon è rappresentato dalla velocità con la quale la merce, se disponibile, viene spedita. L’azienda si è difesa sostenendo che i dipendenti sono già dotati di palmare e che il braccialetto li renderebbe più liberi nei movimenti, senza che ciò implichi un maggiore controllo.
Il controllo a distanza
In attesa di sviluppi sulla vicenda, vediamo in sintesi cosa prevede la normativa attuale in materia di controllo a distanza del lavoratore, basata sul Jobs Act e sul successivo decreto attuativo.
In caso di computer, tablet e cellulari aziendali, è possibile il controllo a distanza dei devices, senza la necessità di accordo sindacale o autorizzazione ministeriale.
Allo stesso modo, l’azienda può prevedere l’uso di badge o altri strumenti finalizzati a monitorare gli accessi e la presenza su luogo di lavoro.
In caso si vogliano installare impianti audiovisivi e/o altri strumenti da cui derivi anche la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori, è necessario l’accordo collettivo con la RSU o RSA aziendale, in mancanza del quale serve l’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro.
Finalità delle informazioni raccolte
Le informazioni raccolte sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro.
Inoltre, il lavoratore deve essere adeguatamente e preventivamente informato sulle modalità d’uso degli strumenti e su come saranno effettuati i controlli, sempre nel rispetto delle norme sulla privacy.


mercoledì 31 gennaio 2018

Cassazione: assisti un familiare disabile solo di notte? Hai diritto al congedo straordinario

Un lavoratore dipendente ha diritto al congedo straordinario retribuito per assistere un familiare affetto da grave disabilità (fisica e/o psichica), ma modalità e tempistiche possono dare adito a contrasti con il datore di lavoro e conseguenti strascichi giudiziari.

Il caso di specie
Un operaio abruzzese era stato licenziato dall’azienda in quanto scoperto di giorno mentre ripetutamente si trovava presso la propria abitazione e non dall’anziana madre malata di Alzheimer residente in un paese poco distante.
Il lavoratore aveva ottenuto il congedo straordinario per assistere la madre, cosa che però era solito fare quasi esclusivamente di notte, alternandosi con altri familiari più presenti nelle ore diurne.
Secondo il datore di lavoro questo comportamento violava il dovere di fedeltà e correttezza cui il lavoratore era tenuto, risultando un illecito disciplinare punibile con il licenziamento.
Le sentenze di primo grado e di appello
Il Tribunale di Lanciano dichiarò illegittimo il licenziamento, mala Corte d’Appello dell’Aquila escluse il diritto alla reintegrazione, condannando l’azienda a riconoscere 15 mensilità al lavoratore. In pratica, il datore di lavoro avrebbe avuto la facoltà di licenziare il lavoratore a seguito della sua condotta.

Le ragioni del lavoratore
L’operaio si era giustificato spiegando che la madre soffriva di insonnia e, a causa della sua malattia degenerativa, già in passato aveva tentato fughe di casa notturne. L’uomo aveva correttamente trasferito la residenza presso l’abitazione della madre disabile, condizione necessaria per poter usufruire del congedo straordinario retribuito. Per queste ragioni, ritenendo di non aver fatto il furbo, presentò ricorso in Cassazione.

La sentenza della Cassazione
La Suprema Corte diede ragione al lavoratore, ritenendo che egli avesse comunque diritto "spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita e di riposo". La legge non prevede orari per l’assistenza né distingue tra il giorno e la notte. L’importante è che l’assistenza sia continuativa nel tempo e non occasionale, ma non può certo essere H24.

Le modalità di svolgimento dell’assistenza erano dunque compatibili con la finalità del congedo, senza possibilità di ravvisare alcun illecito disciplinare. L’azienda è stata dunque condannata a reintegrare il lavoratore. 

martedì 23 gennaio 2018

Congedo parentale: se il padre trascura il figlio scatta il licenziamento

Un genitore lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro fino all’ottavo anno di vita del figlio per stare con lui, percependo il 30% dello stipendio quale indennità solo fino al compimento del terzo anno.
Tale permesso è concesso esclusivamente nell’interesse del tutelato, cioè del figlio minore, la cui cura deve essere l’occupazione principale del genitore in congedo.
Se il genitore in congedo fa il furbo…
Un padre abruzzese è stato scoperto dal proprio datore di lavoro a non occuparsi del figlio durante il congedo parentale, non in maniera occasionale, ma come pratica abituale (facendolo controllare da un’agenzia investigativa), dedicandosi ad altre attività.  Per questo motivo il datore ha provveduto al licenziamento contro cui il lavoratore ha presentato ricorso.
Le ragioni del lavoratore
Nei motivi del ricorso il lavoratore contestava il licenziamento ritenendolo illegittimo poiché il congedo non è equiparabile ai permessi per assistere familiari disabili previsti dalla legge 104.
Egli non aveva svolto un secondo lavoro durante il congedo (come a volte succede) per cui riteneva di non essere venuto meno ai propri doveri.
Le motivazioni della Cassazione
La Cassazione, confermando la sentenza d’appello, ha ritenuto legittimo il licenziamento, giudicando la condotta del lavoratore lesiva della buona fede del proprio datore di lavoro e contraria alla buona fede. La condotta è risultata il frutto di una precisa strategia mirata a sottrarsi ingiustamente allo svolgimento della prestazione lavorativa per interessi personali, non per dedicarsi al figlio minore. Inoltre, anche l’ente previdenziale che eroga l’indennità risultava parte lesa.
Il rigetto delle ragioni del lavoratore
Il congedo parentale presuppone la libera decisione di occuparsi del figlio minore a tempo pieno. Se al contrario viene appurato che il figlio viene trascurato e che il congedo è stata solo una scusa per non lavorare e fare altro, ecco che il licenziamento è giustificato, a prescindere da che si occupi il tempo svolgendo un altro lavoro o qualunque altra attività.
Secondo i giudici della Suprema Corte, infatti, "conta non tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio, quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore".

Il congedo "non attiene a esigenze puramente fisiologiche del minore ma, specificamente, intende appagare i suoi bisogni affettivi e relazionali onde realizzare il pieno sviluppo della sua personalità sin dal momento dell'ingresso in famiglia".

mercoledì 17 gennaio 2018

Condanna per violenze, non sempre lo straniero può essere espulso


La Corte di Cassazione ha di recente emesso una sentenza destinata a fare discutere. Un cittadino straniero condannato per violenze ripetute in famiglia non deve essere espulso, se non in presenza di accertata pericolosità sociale. Si tratta dunque di una procedura facoltativa.

Il caso di specie
Un marocchino residente a Milano è stato condannato a tre anni di reclusione, con sentenza definitiva della Cassazione, la quale, però, ha respinto la domanda di espulsione, non considerando dimostrata la pericolosità sociale del soggetto.
Il marocchino è stato ritenuto responsabile di maltrattamenti e lesioni personali aggravate, a seguito della testimonianza della moglie e di numerosi referti rilasciati dal Pronto soccorso. Nonostante tale condotta sia stata posta in essere all’ottavo mese di gravidanza della donna, con tutti i rischi del caso, ciò non è stato sufficiente per giustificarne l’allontanamento dal nostro Paese.

Cosa ha detto la Cassazione
Secondo la Suprema Corte, "l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, nel caso di condanna superiore a 2 anni, costituisce una misura di sicurezza personale di carattere facoltativo applicabile dal giudice solo nel caso in cui abbia verificato la sussistenza in concreto della attualità della pericolosità sociale".

Il concetto di pericolosità sociale

La pericolosità sociale si basa sulla valutazione della probabilità che un soggetto commetta nuovi reati. E’ quindi di fatto una prognosi criminale, basata sulla personalità, sugli eventuali precedenti, sulle caratteristiche del reato per cui il soggetto è stato condannato (ripetibilità). E’ in genere oggetto di valutazione per prevedere misure di sicurezza ulteriori rispetto alla reclusione.