Un genitore lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro fino all’ottavo anno di vita del figlio per stare con lui, percependo il 30% dello stipendio quale indennità solo fino al compimento del terzo anno.
Tale permesso è concesso esclusivamente nell’interesse del tutelato, cioè del figlio minore, la cui cura deve essere l’occupazione principale del genitore in congedo.
Se il genitore in congedo fa il furbo…
Un padre abruzzese è stato scoperto dal proprio datore di lavoro a non occuparsi del figlio durante il congedo parentale, non in maniera occasionale, ma come pratica abituale (facendolo controllare da un’agenzia investigativa), dedicandosi ad altre attività. Per questo motivo il datore ha provveduto al licenziamento contro cui il lavoratore ha presentato ricorso.
Le ragioni del lavoratore
Nei motivi del ricorso il lavoratore contestava il licenziamento ritenendolo illegittimo poiché il congedo non è equiparabile ai permessi per assistere familiari disabili previsti dalla legge 104.
Egli non aveva svolto un secondo lavoro durante il congedo (come a volte succede) per cui riteneva di non essere venuto meno ai propri doveri.
Le motivazioni della Cassazione
La Cassazione, confermando la sentenza d’appello, ha ritenuto legittimo il licenziamento, giudicando la condotta del lavoratore lesiva della buona fede del proprio datore di lavoro e contraria alla buona fede. La condotta è risultata il frutto di una precisa strategia mirata a sottrarsi ingiustamente allo svolgimento della prestazione lavorativa per interessi personali, non per dedicarsi al figlio minore.
Inoltre, anche l’ente previdenziale che eroga l’indennità risultava parte lesa.
Il rigetto delle ragioni del lavoratore
Il congedo parentale presuppone la libera decisione di occuparsi del figlio minore a tempo pieno. Se
al contrario viene appurato che il figlio viene trascurato e che il congedo è stata solo una scusa per non lavorare e fare altro, ecco che il licenziamento è giustificato, a prescindere da che si occupi il tempo svolgendo un altro lavoro o qualunque altra attività.
Secondo i giudici della Suprema Corte, infatti, "conta non tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio, quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore".
Il congedo "non attiene a esigenze puramente fisiologiche del minore ma, specificamente, intende appagare i suoi bisogni affettivi e relazionali onde realizzare il pieno sviluppo della sua personalità sin dal momento dell'ingresso in famiglia".
Nessun commento:
Posta un commento